Il trucco della rappresentatività

Come abbiamo già detto, recentemente la Corte di Giustizia Europea ha emanato una sentenza che obbliga l’Italia a riscrivere le norme in base alle quali il Diritto d’Autore e i Diritti Connessi sono applicati nel nostro Paese.

La sentenza è qui.

Come leggerete (se avrete tempo di farlo) fra tanti paroloni ne manca assolutamente uno: quello della rappresentatività.

Cioè, le norme che sono atte a definire i criteri per cui ogni società di collecting, anche estera, ha diritto a proporsi in Italia con propri listini (e addirittura anche i singoli artisti potrebbero farlo), non hanno nulla a che fare con la rappresentatività di chi opera nel campo della intermediazione dei suddetti Diritti.

L’unica norma che governa la quantificazione dei compensi è l’equità. Sembra logico, evidente, palese, ma così non è. E vediamo perché.

Alcune società di collecting cercano di arroccarsi sulla quantità di artisti che esse tutelano per giustificare la quantificazione dei compensi che chiedono a chi fa uso degli artisti da loro tutelati. In realtà, questo è un banale trucco per “giustificare” (secondo loro) che per queste società di collecting si deve pagare di più se si vuole far uso del loro repertorio.

In realtà, la sentenza della Corte Europea di cui sopra, sancendo che tutti devono potersi rappresentare anche da soli, ci dice l’esatto contrario, perché se così fosse, un artista che volesse rappresentarsi da solo quanto dovrebbe chiedere, visto che lui rappresenta solo sé stesso? Nulla o quasi? No, evidentemente no.

Dunque, è necessario che chi di competenza, con il supporto di tutte le associazioni di categoria (come AssoRadio) stabilisca i principi di base da applicare a tutte le società di collecting per la definizione delle “tariffe” da praticare a chi usa la musica.

Attualmente, lo ricordiamo, la Legge dispone solo che i compensi devono essere equi. E, sia pur con qualche distinguo, uniche due società che attualmente possono definirsi “eque” sono la LEA (sponda italiana di Soundreef) e ITSRIGHT. Diversamente le altre due più note, SCF e SIAE, che praticano ancora tariffe extralarge e che, paragonate a quelle delle due precedenti, non v’è dubbio alcuno che non si possano definire “eque”.

SIAE e SCF sono state più volte invitate da AssoRadio a rivedere i criteri con cui operano quanto a tali tariffe, non eque come dicevamo. Ci auguriamo che la recente sentenza possa essere il nuovo punto di inizio da cui ripartire.